Asamoah allontana il sogno

L’arbitro consulta l’orologio, decreta quattro minuti di recupero. Il Braglia è una bolgia umana, grido incontrollato, continuo e perpetuo. Il Toro ha pareggiato, il Toro ha rubato, urlano ai lati, caricano i tamburi: il “mani”di Orfei esige ancora vendetta.

Poi quella palla, apparentemente innocua, danza sulla trequarti granata. E’ alta, leggera, domabile, ribattibile. Ci sono Bucchi e Melara e tu pensi: “il difensore lo anticiperà di netto, dall’alto dei suoi 187 cm” ed invece saltano insieme, l’ex livornese stacca in ritardo, il bomber emiliano vince il duello, sponda la sfera, alimenta l’atmosfera, indirizzando il pallone fra due uomini opposti, uno nero e veloce, l’altro bianco e macchinoso, uniti da un intento: arrivare per primi.

Lo stadio, di colpo, ammutolisce. Sono attimi, fremiti di calcio, scanditi dalle lancette di un orologio che nella memoria degli spettatori, assumeranno contorni di interminabili secondi di trance adrenalinica. Asamoah, nero signore travestito da ghepardo, avanza il proprio corpo sulla preda, vince il duello in rapidità, arma il destro di rarefatta bellezza ed infilza Taibi, quando la serranda pareva già abbassata. Lo stadio, come impazzito, esplode liberatorio di sentimenti contrastanti, rabbia da Maratona, gioia di Canarini.

E’ questo il momento clou di una settimana, questo il gesto atletico che decreterà il risultato di una gara equilibrata, giocata bene da entrambe le squadre e decisa da un episodio: la prima rete modenese. Eh si, perché fino ad allora, le due formazioni avevano dato l’impressione di condurre la sfida su binari paralleli con schieramenti speculari: due “4-2-3-1”, nel quale il solo Muzzi si caricava sulle spalle la responsabilità di variare lo schema tattico dei suoi, avvicinandosi e allontanandosi all’occorrenza dal compagno d’attacco Abbruscato.

La manovra si disciplinava sulla fascia antistante la tribuna stampa, quella occupata da Lazetic e Graffiedi. Le due ali offensive, evidenziavano immediatamente uno stato di forma eccellente, solcando la propria corsia con eccezionale dinamismo e rapidità, mettendo in crisi i rispettivi marcatori, Chiecchi e Martinelli. Dall’altra parte, invece, né Campedelli, né Ferrarese, si producevano in percussioni degne di nota, ma specialmente l’ex cagliaritano faticava ad entrare in partita e trovare varchi a disposizione, ben marcato da chi si rileverà il migliore in campo di tutto il match (Frey), ed altrettanto contratto dagli estemporanei raddoppi di Giampieretti, vero uomo ovunque.

Il Toro, mano a mano che scorrevano i minuti, aumentava la pressione, ma proprio nel momento di massimo sforzo, subiva il passivo di Graffiedi, lesto nel tap-in sulla punizione di Bucchi. Il gol raggelava gli animi granata, doccia ghiacciata, infarto lampante, proprio quando il motore diesel stava iniziando a carburare. Il gioco si faceva farraginoso, i gialloblù, rinvigoriti, alimentavano il pressing a centrocampo, costringendo Gallo a velocizzare le operazioni nel traffico, inducendolo progressivamente ad una caterva di errori negli appoggi.

De Biasi chiedeva alla sua retroguardia di mantenere la linea dell’off-side più alta, ma Martinelli, talvolta, sembrava impacciato nella realizzazione dei dettami del proprio tecnico. La sensazione, nell’intervallo, era quella di essere capitati nel luogo sbagliato al momento sbagliato, dovendo fronteggiare l’avversario più in condizione di tutto il campionato.

La ripresa si apriva sulla falsariga di come si era conclusa la prima frazione: il Modena teneva il campo con ordine e intelligenza tattica, non esagerando nello spingere sull’acceleratore, e ben controllando le punte di diamante granata.
Perna e Centurioni, infatti, giocavano a guardie e ladri con il povero Abbruscato, avendo quasi sempre la meglio. Ferrarese, impalpabile, andava in cerca di terreni più fertili per vie centrali, sbattendo contro la muraglia gialloblù. Muzzi si dava un gran da fare nella congestionata trequarti modenese, apprezzabile più in fase di copertura che non nelle proiezioni offensive. La gara scorreva senza troppi sussulti e De Biasi correva ai ripari: dentro Rosina al posto dell’evanescente numero dieci granata e largo pure a Stellone per Ardito (richiamato per evitargli la seconda ammonizione).

Con un 4-1-3-2 a trazione anteriore, il Toro si riversava alla disperata nella metà campo locale.
Edusei entrava per Gallo, (almeno uno ad interdire ci voleva) e Pioli toglieva Giampaolo, Graffiedi e Giampieretti per Troiano, Pivotto ed Asamoah, rinfoltendo la mediana e puntando al contropiede, sfruttando le veloci ripartenze del giovane ghanese.

Il gol di Abbruscato su sponda di Stellone, dava ragione alle scelte della panchina torinese, la partita non aveva più padroni, gli schemi saltavano, gli ultimi secondi venivano disputati sui nervi, con il Toro a credere in una vittoria insperata ed il Modena, già rassegnato al sapore della beffa, in leggero affanno. Poi quel pallone alto, il signore nero e la vecchia mietitrice, lesta e beffarda ad allontanare ogni speranza di promozione diretta, sancendo la fine della cavalcata granata e l’apertura a nuovi scenari, ancora tutti da vivere, scrivere, gioire e purtroppo anche soffrire.

Fonte: Federico Freni