INTERVISTA ESCLUSIVA. GIANNI DE BIASI: “CI SALVEREMO”
È ottimista. Ambizioso. Non ha dubbi sul fatto che l’Alavés mantenga la categoria. Nel corso dell’intervista parla del suo passato da giocatore, racconta aneddoti nella sua carriera da allenatore, si pronuncia tra Ronaldo e Messi, sceglie i migliori giocatori italiani…Ma principalmente analizza il Deportivo Alavés: la rosa, la dirigenza, la tifoseria…
Dal suo arrivo, la squadra è cambiata. Persistono le difficoltà, e non sarà facile raggiungere l’obiettivo, ma va molto meglio. Ha vinto 3 (2 in Liga e una in Coppa del Re) delle 6 partite che ha affrontato. C’è modo di avere fiducia nell’allenatore. Crede fermamente nelle capacità di Medrán e spiega il calcio con due numeri: il 3 e il 57.
Il suo arrivo
Come si trova all’Alavés?
Sono molto orgoglioso di essere qui e sono molto felice di essere in questo club. Spero di aprire un percorso diverso. Penso che i ragazzi siano piuttosto coinvolti e che si possano fare cose importanti, cambiando la mentalità. Ci stiamo lavorando, spero che riusciamo a farlo il prima possibile.
Ci salveremo?
Ci salveremo. Sono convinto di questo, altrimenti non sarei qui. Non è facile, è una sfida. Basta vedere l’esempio del Girona…insegna che si può vincere contro tutte.
La sua scelta è divenuta pubblica nella serata di venerdì, ma durante il giorno era in città come ha dimostrato una foto sui social network.
Avevo parlato con il patron anche alcuni giorni prima e persino l’estate scorsa ho avuto un incontro con Sergio Fernández.
Cosa è successo quel giorno? È stato difficile trovare un accordo?
Sì, dovevo valutare alcune cose, c’erano altre soluzioni da poter scegliere: lavorare in una Nazione molto lontana e con una grande opportunità economica, ma per me l’aspetto economico non è la cosa più importante. Mi piaceva tornare nella Liga, è uno dei campionati più importanti del mondo…
Ha una spina nel fianco per il suo periodo al Levante, suppongo…
Sì, al Levante è stata un’esperienza positiva, ma con molti problemi (stipendi, fallimento…).
Parlando di calcio
Cristiano Ronaldo o Messi?
Tutti e due.
Uomo!
(Ride ndr) Messi è il calcio e ha una qualità assoluta.
Il miglior giocatore italiano di oggi e della storia.
Una domanda difficile. Buffon di oggi. Della storia può essere…Roberto Baggio. Lo dico perché l’ho allenato.
Lo sapevo. Lei ha 61 anni, si vede tutta la vita allenando?
No, no, no…Solo fino a 90 anni (ride ndr).
Che tipo di giocatore era?
Un centrocampista di grande qualità all’inizio della mia carriera. Poi mi sono trasformato in un giocatore alla Tardelli. Un guerriero in campo, forte fisicamente che segnava 3 o 4 gol a stagione.
Lei è stato nell’Inter, ma senza mai scendere in campo.
Non ci sono riuscito. Sono andato là troppo giovane e inesperto. Giocavano Mazzola, Facchetti, Boninsegna…
Guardiola, Zidane, Del Bosque, lei…I migliori allenatori sono centrocampisti?
Non lo so. Sicuramente un centrocampista è un allenatore in campo. Guardiola è intelligente perché sa tirare fuori il meglio da ognuno.
Chi vincerà il Mondiale?
La Spagna.
Non ha detto Italia, si arrabbieranno là…
(Ride ndr) La Spagna è fortissima.
Catenaccio italiano, samba brasiliana o tiki taka spagnolo?
Un mix di tutti per fare cose importanti. Il 33 per cento di ognuno.
A quale tifoseria italiana si può paragonare quella dell’Alavés?
A quella del Genoa. È vicina alla gradinata. Mi piace la tifoseria di Vitoria. In Italia, se si perde quanto ha perso l’Alavés quest’anno la tifoseria “ti uccide”. È la verità. Ma qui i tifosi sono fantastici.
E lei per che squadra italiana tifa?
Tifo la squadra che alleno.
Glielo chiedo in un altro modo…quale squadra le piaceva quando era bambino?
La Juventus. Quando sono andato al Torino me lo hanno chiesto e ho detto: sono dell’Inter (ride ndr). È stata una bugia bianca.
Il Deportivo Alavés
Ha talento la rosa dell’Alavés?
Sì, ma il talento deve essere incanalato in termini di squadra. Non solo singolarmente. Per me la cosa più importante è la squadra. L’individualità viene fuori meglio all’interno del gruppo.
Lei non ha scelto i giocatori…Le piace la rosa o la modificherà a Natale?
Non lo so ancora. Non ho ancora avuto la possibilità di fornire una vera valutazione di tutti i ragazzi dal punto di vista individuale. In questo momento, loro hanno un peso psicologico a causa della classifica che li fa rendere meno.
Insiste nel problema di mentalità. C’è anche un problema fisico?
No, fisicamente lavorano molto bene. È un problema tattico e di mentalità. Non si può cambiare il mondo in poco tempo, uno solo ha fatto il mondo in 7 giorni (ride ndr).
Se lei scegliesse 11 giocatori quale sarebbe il suo modulo ideale?
La mia filosofia è cambiata molte volte in base ai giocatori che avevo a disposizione. Il 4-3-3 è il modulo che mi sembra più equilibrato. Ad oggi giochiamo con la difesa bassa per creare meno pressione alla squadra vista la situazione che stiamo vivendo.
Parliamo della rosa. Pacheco sembra insostituibile, ma Sivera ha futuro.
Sì. Sivera si è comportato molto bene. Continuerà a giocare in Coppa del Re, e Pacheco è un portiere di grande qualità, ma anche soffre per questa situazione.
È chiaro che manchino difensori.
Dobbiamo crescere e migliorare. Fino a gennaio, per me è importante fare una valutazione corretta di ogni ragazzo. Manca Laguardia, che è un guerriero, mi piace molto e può darci più possibilità di scelta.
Ely e Alexis, insostituibili…
Entrambi hanno qualità. Alexis ha esperienza ed è molto coinvolto, ma abbiamo anche altri giocatori. Non mi manca il coraggio per schierare i ragazzi come nel giorno della gara col Valencia.
Burgui e Zidane non giocano.
Burgui ha una qualità molto importante. Ma il calcio ha due numeri: 3 e 57. Meno di tre sono i minuti di tocco di palla che fa ogni giocatore sul terreno di gioco e i 57 minuti di gioco sono quelli in cui si gioca senza palla. Quindi è un problema se non si sa giocare senza palla. Burgui deve migliorare nei 57 minuti, non nei 3.
La stessa cosa per Zidane, che ha una notevole qualità. La genetica non è una cosa strana, è la verità. Ha preso molte cose da suo padre. È un ragazzo serio, lavora molto, ma gli manca esperienza. Arriva dalla Serie C e ora è nella Liga. Avrà minuti.
Il capitano…
È il cuore della squadra. È tra i più coinvolti in questa sfida. Mi piacciono le persone generose che danno tutto in campo ogni domenica.
Ibai non è come l’anno scorso…
(Silenzio)
E Medrán sta emergendo…
Medrán sarà uno dei protagonisti di questa rosa.
Pedraza…
Deve crescere. Ha una qualità straordinaria, una grande capacità di uscire con il pallone tra i piedi, ma deve migliorare nella fase difensiva e nel gioco senza palla. È giovane, fatto che è positivo. È un ragazzo serio, vuole migliorare.
Sempre parla di migliorare, fare progressi…
A me piacciono i giocatori che hanno voglia di migliorare, non quelli che si siedono, che pensano che sono arrivati nella Liga e questo basta. Con me non si siederanno.
Manca un centravanti…
(Silenzio). È una domanda, un’affermazione o lo dici tu?
Lo dico io. Come si trova con Sergio?
Molto bene. Credo che sia uno dei pochi direttori sportivi che conosce il calcio, i giocatori, tutto. Ha avuto una breve carriera da allenatore, fatto che lo aiuta nelle valutazioni.
E con Josean Querejeta?
È molto serio, se ne intende di sport. E se qualcuno conosce il settore è più facile capirsi.
Ha un contratto per questa stagione e per la prossima. Le piacerebbe restare molti anni? Sarebbe segno di buoni risultati.
Non lo so, non lo so. Dopo tre anni di successi sportivi a Modena me ne sono andato (dalla Serie C alla Serie A e salvezza in Serie A). È difficile tenere alta la tensione nella stessa rosa. Avevo detto al presidente “me ne vado” e mi disse di no e che mi avrebbe fatto un contratto lungo, ma gli ho spiegato: o cambia tutti i giocatori o cambia me (ride ndr).
Anche nel Torino le è successo qualcosa di strano…
Oggi il presidente è amico mio, ma non aveva esperienza nel calcio. Abbiamo fatto quello che avevo detto e siamo stati promossi in Serie A. Poi ha pensato che fosse la cosa più importante (la squadra veniva da un fallimento) e tre giorni prima che cominciasse il campionato mi ha cacciato. E poi a tredici giornate dalla fine mi è tornato ad ingaggiare perché andavano molto male e siamo riusciti a salvarci. E mi ha di nuovo cacciato perché lo mettevo nell’ombra.
È ottimista. Ambizioso. Non ha dubbi sul fatto che l’Alavés mantenga la categoria. Nel corso dell’intervista parla del suo passato da giocatore, racconta aneddoti nella sua carriera da allenatore, si pronuncia tra Ronaldo e Messi, sceglie i migliori giocatori italiani…Ma principalmente analizza il Deportivo Alavés: la rosa, la dirigenza, la tifoseria…
Dal suo arrivo, la squadra è cambiata. Persistono le difficoltà, e non sarà facile raggiungere l’obiettivo, ma va molto meglio. Ha vinto 3 (2 in Liga e una in Coppa del Re) delle 6 partite che ha affrontato. C’è modo di avere fiducia nell’allenatore. Crede fermamente nelle capacità di Medrán e spiega il calcio con due numeri: il 3 e il 57.
Il suo arrivo
Come si trova all’Alavés?
Sono molto orgoglioso di essere qui e sono molto felice di essere in questo club. Spero di aprire un percorso diverso. Penso che i ragazzi siano piuttosto coinvolti e che si possano fare cose importanti, cambiando la mentalità. Ci stiamo lavorando, spero che riusciamo a farlo il prima possibile.
Ci salveremo?
Ci salveremo. Sono convinto di questo, altrimenti non sarei qui. Non è facile, è una sfida. Basta vedere l’esempio del Girona…insegna che si può vincere contro tutte.
La sua scelta è divenuta pubblica nella serata di venerdì, ma durante il giorno era in città come ha dimostrato una foto sui social network.
Avevo parlato con il patron anche alcuni giorni prima e persino l’estate scorsa ho avuto un incontro con Sergio Fernández.
Cosa è successo quel giorno? È stato difficile trovare un accordo?
Sì, dovevo valutare alcune cose, c’erano altre soluzioni da poter scegliere: lavorare in una Nazione molto lontana e con una grande opportunità economica, ma per me l’aspetto economico non è la cosa più importante. Mi piaceva tornare nella Liga, è uno dei campionati più importanti del mondo…
Ha una spina nel fianco per il suo periodo al Levante, suppongo…
Sì, al Levante è stata un’esperienza positiva, ma con molti problemi (stipendi, fallimento…).
Parlando di calcio
Cristiano Ronaldo o Messi?
Tutti e due.
Uomo!
(Ride ndr) Messi è il calcio e ha una qualità assoluta.
Il miglior giocatore italiano di oggi e della storia.
Una domanda difficile. Buffon di oggi. Della storia può essere…Roberto Baggio. Lo dico perché l’ho allenato.
Lo sapevo. Lei ha 61 anni, si vede tutta la vita allenando?
No, no, no…Solo fino a 90 anni (ride ndr).
Che tipo di giocatore era?
Un centrocampista di grande qualità all’inizio della mia carriera. Poi mi sono trasformato in un giocatore alla Tardelli. Un guerriero in campo, forte fisicamente che segnava 3 o 4 gol a stagione.
Lei è stato nell’Inter, ma senza mai scendere in campo.
Non ci sono riuscito. Sono andato là troppo giovane e inesperto. Giocavano Mazzola, Facchetti, Boninsegna…
Guardiola, Zidane, Del Bosque, lei…I migliori allenatori sono centrocampisti?
Non lo so. Sicuramente un centrocampista è un allenatore in campo. Guardiola è intelligente perché sa tirare fuori il meglio da ognuno.
Chi vincerà il Mondiale?
La Spagna.
Non ha detto Italia, si arrabbieranno là…
(Ride ndr) La Spagna è fortissima.
Catenaccio italiano, samba brasiliana o tiki taka spagnolo?
Un mix di tutti per fare cose importanti. Il 33 per cento di ognuno.
A quale tifoseria italiana si può paragonare quella dell’Alavés?
A quella del Genoa. È vicina alla gradinata. Mi piace la tifoseria di Vitoria. In Italia, se si perde quanto ha perso l’Alavés quest’anno la tifoseria “ti uccide”. È la verità. Ma qui i tifosi sono fantastici.
E lei per che squadra italiana tifa?
Tifo la squadra che alleno.
Glielo chiedo in un altro modo…quale squadra le piaceva quando era bambino?
La Juventus. Quando sono andato al Torino me lo hanno chiesto e ho detto: sono dell’Inter (ride ndr). È stata una bugia bianca.
Il Deportivo Alavés
Ha talento la rosa dell’Alavés?
Sì, ma il talento deve essere incanalato in termini di squadra. Non solo singolarmente. Per me la cosa più importante è la squadra. L’individualità viene fuori meglio all’interno del gruppo.
Lei non ha scelto i giocatori…Le piace la rosa o la modificherà a Natale?
Non lo so ancora. Non ho ancora avuto la possibilità di fornire una vera valutazione di tutti i ragazzi dal punto di vista individuale. In questo momento, loro hanno un peso psicologico a causa della classifica che li fa rendere meno.
Insiste nel problema di mentalità. C’è anche un problema fisico?
No, fisicamente lavorano molto bene. È un problema tattico e di mentalità. Non si può cambiare il mondo in poco tempo, uno solo ha fatto il mondo in 7 giorni (ride ndr).
Se lei scegliesse 11 giocatori quale sarebbe il suo modulo ideale?
La mia filosofia è cambiata molte volte in base ai giocatori che avevo a disposizione. Il 4-3-3 è il modulo che mi sembra più equilibrato. Ad oggi giochiamo con la difesa bassa per creare meno pressione alla squadra vista la situazione che stiamo vivendo.
Parliamo della rosa. Pacheco sembra insostituibile, ma Sivera ha futuro.
Sì. Sivera si è comportato molto bene. Continuerà a giocare in Coppa del Re, e Pacheco è un portiere di grande qualità, ma anche soffre per questa situazione.
È chiaro che manchino difensori.
Dobbiamo crescere e migliorare. Fino a gennaio, per me è importante fare una valutazione corretta di ogni ragazzo. Manca Laguardia, che è un guerriero, mi piace molto e può darci più possibilità di scelta.
Ely e Alexis, insostituibili…
Entrambi hanno qualità. Alexis ha esperienza ed è molto coinvolto, ma abbiamo anche altri giocatori. Non mi manca il coraggio per schierare i ragazzi come nel giorno della gara col Valencia.
Burgui e Zidane non giocano.
Burgui ha una qualità molto importante. Ma il calcio ha due numeri: 3 e 57. Meno di tre sono i minuti di tocco di palla che fa ogni giocatore sul terreno di gioco e i 57 minuti di gioco sono quelli in cui si gioca senza palla. Quindi è un problema se non si sa giocare senza palla. Burgui deve migliorare nei 57 minuti, non nei 3.
La stessa cosa per Zidane, che ha una notevole qualità. La genetica non è una cosa strana, è la verità. Ha preso molte cose da suo padre. È un ragazzo serio, lavora molto, ma gli manca esperienza. Arriva dalla Serie C e ora è nella Liga. Avrà minuti.
Il capitano…
È il cuore della squadra. È tra i più coinvolti in questa sfida. Mi piacciono le persone generose che danno tutto in campo ogni domenica.
Ibai non è come l’anno scorso…
(Silenzio)
E Medrán sta emergendo…
Medrán sarà uno dei protagonisti di questa rosa.
Pedraza…
Deve crescere. Ha una qualità straordinaria, una grande capacità di uscire con il pallone tra i piedi, ma deve migliorare nella fase difensiva e nel gioco senza palla. È giovane, fatto che è positivo. È un ragazzo serio, vuole migliorare.
Sempre parla di migliorare, fare progressi…
A me piacciono i giocatori che hanno voglia di migliorare, non quelli che si siedono, che pensano che sono arrivati nella Liga e questo basta. Con me non si siederanno.
Manca un centravanti…
(Silenzio). È una domanda, un’affermazione o lo dici tu?
Lo dico io. Come si trova con Sergio?
Molto bene. Credo che sia uno dei pochi direttori sportivi che conosce il calcio, i giocatori, tutto. Ha avuto una breve carriera da allenatore, fatto che lo aiuta nelle valutazioni.
E con Josean Querejeta?
È molto serio, se ne intende di sport. E se qualcuno conosce il settore è più facile capirsi.
Ha un contratto per questa stagione e per la prossima. Le piacerebbe restare molti anni? Sarebbe segno di buoni risultati.
Non lo so, non lo so. Dopo tre anni di successi sportivi a Modena me ne sono andato (dalla Serie C alla Serie A e salvezza in Serie A). È difficile tenere alta la tensione nella stessa rosa. Avevo detto al presidente “me ne vado” e mi disse di no e che mi avrebbe fatto un contratto lungo, ma gli ho spiegato: o cambia tutti i giocatori o cambia me (ride ndr).
Anche nel Torino le è successo qualcosa di strano…
Oggi il presidente è amico mio, ma non aveva esperienza nel calcio. Abbiamo fatto quello che avevo detto e siamo stati promossi in Serie A. Poi ha pensato che fosse la cosa più importante (la squadra veniva da un fallimento) e tre giorni prima che cominciasse il campionato mi ha cacciato. E poi a tredici giornate dalla fine mi è tornato ad ingaggiare perché andavano molto male e siamo riusciti a salvarci. E mi ha di nuovo cacciato perché lo mettevo nell’ombra.
Articolo Tradotto grazie a Mattia Banno’