Scaricato per telefono a mezzanotte. Poche parole per dirsi addio.
TORINO. Gianni De Biasi non commenta il suo esonero. Nessuna dichiarazione ufficiale, almeno per ora. Ha scelto il silenzio e la riflessione. Come fece nel maggio 2004 Ezio Rossi, vittima di un’altra cacciata con tempi quantomeno inconsueti, a due turni dai playoff di B. Era un altro Toro, quello. Ma le storie sono le stesse. Storie di allenatori scaricati quando meno se lo aspettavano. Di delusioni forti, anche di rancori che forse è meglio lasciar sbollire prima di riaprire bocca.
De Biasi pensava di aver messo al sicuro il diritto a riassaporare la serie A dopo una promozione-miracolo e dopo le tensioni nate con Cairo nel post-partita di Alessandria. Sembrava tutto risolto, o almeno rimandato a una verifica successiva ai primi turni di campionato. Anche qualche giocatore ha confessato di aver trovato più sereno il suo mister martedì, alla ripresa degli allenamenti. Invece, mercoledì è scoppiata la bomba. De Biasi stava finendo di cenare a Vercelli con il suo staff e con il dg Tosi che alle 23,30 gli ha detto: «Gianni, c’è il presidente che ti cerca». Il dialogo fra i due è stato telegrafico. C’era poco da dire, ormai Cairo aveva deciso: «De Biasi, lo sa che la sua gestione non mi piace?». «E allora?». «E allora la esonero».
Via tutti, preparatori atletici compresi. Gente con contratti fino al 2008: spesa lorda complessiva sui 2 milioni, da corrispondere se De Biasi e i suoi non si accaseranno prima altrove. Resta, invece, Doriano Tosi: come l’ha definito ieri Cairo, «un amico di De Biasi», uno che con il tecnico veneto aveva condiviso già la fantastica galoppata del Modena dalla C1 alla A. Si erano sparse voci di dimissioni, ieri, dopo che le stesse, insistenti, avevano già echeggiato in agosto, nel corso del ritiro di Macugnaga. «Divergenze sul mercato», si diceva. Cairo, presidente ingolosito dalla ribalta della A, si divertiva a trattare con procuratori e dirigenti spesso scavalcando il dg scelto a giugno. Tosi, ieri sera, s’è fatto sentire da tutta Italia, con un dispaccio Ansa: «Smentisco assolutamente: non mi dimetto, resto».
Qualche problema, però, c’è. Come quello emerso a fine giugno, nel giorno della risoluzione delle comproprietà. Per Stellone e Lazetic è stato Cairo a decidere la cifra, senza informare Tosi ed esponendolo a imbarazzanti figure con colleghi e cronisti. Il resto del mercato, poi, ha contribuito a far diventare buchi le crepe che si erano già aperte nel rapporto fra presidente e allenatore nella seconda parte della scorsa stagione, dopo una partenza in totale sintonia. De Biasi si è ritrovato in squadra gente che non aveva chiesto, arrivata a costo zero o quasi (Pancaro e Oguro su tutti), e in compenso non ha avuto l’attaccante di peso che cercava, che gli serviva per risolvere il grande problema di questa squadra, che anche in B ha segnato troppo poco. In più, alle 19 del 31 agosto s’è ritrovato con un organico di 29 giocatori: troppi per poter lavorare serenamente.
Più che il progetto di un allenatore di buonsenso, insomma, sembrava quello molto più difficilmente decifrabile di un presidente iperattivo, ma attento più alla forma e al bilancio che alle esigenze di una matricola da far debuttare in serie A. Un imprenditore che s’è fatto strada accentrando poteri e decisioni e che anche nel calcio, dopo essere stato a guardare per un mesetto o poco più, ha deciso di riproporre lo stesso modello. Un patron pronto a snocciolare l’entità delle sue uscite ma evasivo nel citare quelle delle entrate, che pure sono sempre più ingenti. Cairo bravo e fortunato, uno abituato a vincere, uno che ai collaboratori più vicini aveva confessato un traguardo quasi inconfessabile: il 4° posto che vale la Champions, in questa A senza Juve e piena di penalizzate. Quando ha capito che, dopo aver preso Abbiati, Barone, Fiore e compagnia bella, De Biasi non gli garantiva la riuscita della scalata ha cercato un altro gran bel nome e gli ha affidato il suo Toro.
«Non ho visto gioco», si era lamentato dopo lo 0-1 di Alessandria. Adesso lo chiede a Zaccheroni, uno che di solito riesce a produrlo. E che, guarda caso, per la seconda volta in meno di tre anni deve ringraziare De Biasi: ieri gli ha lasciato il posto, il 19 ottobre 2003 gli spalancò le porte della panchina dell’Inter, costringendo al 2-2 col suo Brescia un Cuper già alle corde. Il giorno dopo scattò l’esonero di Moratti. Fu quella l’ultima panchina di Zac. Ora, però, c’è il Toro. Che ieri, dopo aver annullato in fretta e furia l’amichevole di Borgaro, ha giocato una partitella in famiglia a uso e consumo del suo nuovo tecnico facendo come al solito una fatica terribile a buttarla dentro. Sbagliano gol incredibili, i granata. In fondo in fondo, De Biasi è andato via per questo
A cura di Roberto Condio
Fonte: La Stampa