De Biasi alla Fiera del Libro: “Cerco di allenare persone e non personaggi”

‘Noi allenatori dobbiamo insegnare ai giocatori a essere più persone e meno personaggi’. Parola di Gianni De Biasi, intervenuto questa mattina all’incontro “Da grande volevo fare…” in sostituzione di Alessandro Rosina, rientrato tardi dallo stage dell’under 21 e impegnato poi nella preparazione del difficile match con la Roma.

L’incontro, a forti tinte granata, perché moderato dallo scrittore e tifoso Giuseppe Culicchia con la partecipazione de “LA” penna Massimo Gramellini, vice-direttore de La Stampa, ha voluto far riflettere sui valori dello sport oggi e sull’importanza delle motivazioni.

“Da piccolo sognavo di fare il calciatore, poi ho visto Meroni e ho capito che non ce l’avrei mai fatta, per questo mi sono orientato verso un altro mestiere”, ha esordito Gramellini che oggi sogna di potersi ritirare in una casa al mare a scrivere romanzi d’amore. Di contro De Biasi sognava di fare il calciatore fin da quando giocava all’oratorio ed è riuscito a realizzare il suo sogno, arrivando alla serie A prima come giocatore e poi come allenatore.

Ma, chiede Culicchia, quante volte siete caduti e vi siete rialzati prima di poter raggiungere il vostro obiettivo ? “Tante, quello che conta è stato aver potuto seguire il nostro sogno, valorizzando al meglio il nostro talento senza scimmiottare qualcuno ma seguendo le proprie inclinazioni. Questo è possibile solo se si ha dentro un tipo di forte motivazione interiore, che permette di non lasciarsi vivere dal tempo che passa”. Un concetto ripreso da Gramellini che ha posto l’accento sull’importanza di riuscire a riconoscere “l’unico vero talento che ognuno di noi ha, senza farsi deviare dai mestieri che finiscono spesso sotto la luce dei riflettori. Oggi per ogni ragazzino che guarda MTV c’è una ragazzina che scrive poesie sotto il letto della sua cameretta. E per fortuna che ci sono i timidi, perché sono loro la forza del mondo”.

Si passa quindi ad analizzare come il calcio è cambiato. Culicchia ricorda i vecchi ritiri del Toro dove si giocava a carte e si socializzava, oggi spesso ci si rinchiude in camera con due diverse play station. “Questo perché ormai i giocatori sono piccole aziende individuali che l’allenatore deve cercare di assemblare in una squadra, sempre più simile a una multinazionale che a un insieme di persone – spiega De Biasi-. Si pensa tanto ai contratti e agli sponsor ma la verità e che dobbiamo cercare di fare di questi giovani, privilegiati, più delle persone che dei personaggi”. Ma questo perché, ricorda “LA” penna, è cambiato il valore del denaro nello sport, oggi il calcio è vissuto più come un lavoro che come uno sport con la conseguenza che la forbice, nel calcio come nella società, si è allargata sempre più. “Mi sono stufato di non vedere la mia squadra vincere da 20 anni perché lo scarto fra gli stipendi delle riserve di Milan, Juve, Inter non è di 3 ma di 20 volte superiore”. Ma come si possono colmare differenze così grandi non solo dal punto di vista economico ma anche tecnico ?

“In questo consiste parte del mio lavoro – risponde il mister -, nel cercare di far capire ai miei giocatori che non hanno di fronte mostri a 3 teste, ma loro colleghi che possono superare puntando forte sulle loro qualità, l’importante è che diano il meglio delle loro forze”.

Come possono però farcela quando tutto è orientato al business ? “Dobbiamo cambiare la mentalità in primis dei genitori – afferma Gramellini -. Oggi i genitori si vedono più come fratelli maggiori che come educatori. Per questo è più facile vedere scene di allenatori menati dai genitori perché hanno tolto il loro figlio durante una partita perché stava giocando male, che non uno scappellotto rifilato al figlio per spingerlo a dare di più. Oggi non conta più il talento ma il fisico, tocca agli allenatori e agli insegnanti modificare questo stato di cose”.

Fonte: Toronews