Da Sarmede all’Albania, De Biasi: «Italia, ti sfido. Alla mia Albania servono punti»
L’allenatore Gianni De Biasi, allenatore dell’Albania, affronta gli azzurri a Palermo: «A Ventura toglierei sia Belotti che Immobile»
CONEGLIANO. Passaporto in una mano, smartphone in piena funzione nell’altra, e un trolley carico di appunti. Pare il ritratto di uno studente in Erasmus, invece è l’allenatore italiano che è riuscito a stupire un continente intero. Non Conte o Ancellotti (facile con Chelsea e Bayern), ma Gianni De Biasi da Sarmede. Un guru per l’Albania, nazione che ha calcisticamente trasformato da squadra materasso a osso durissimo, come insegna l’ultimo Europeo. E che ora, venerdì 24 a Palermo, trova sul suo cammino l’Italia.
Gianni De Biasi, dica la verità: ci sta preparando uno scherzetto?
«Mica facile. Ovviamente conosco bene l’Italia, non è la mia prima volta contro gli azzurri: li ho già affrontati in amichevole nel novembre 2014, dall’altra parte c’era Antonio Conte. Ma, chiaro, questa è più importante, perchè stavolta ci sono dei punti in palio. E per noi è quasi decisiva».
Sarà la sconfitta interna contro Israele a complicarvi terribilmente il cammino?
«Quando c’è stato il sorteggio ci siamo resi conto che sarebbe stata durissima. Una sola qualificata diretta e tanti punti necessari per arrivare secondi. Con Spagna e Italia nel girone, oggettivamente, avevamo già compreso che si tratta di un’impresa ardua».
Mister, lei si nasconde: agli ultimi Europei vi siete qualificati.
«Ma si passava in due, e le terze spareggiavano. Qui ne passa una, le chance sono poche».
Insisto: nell’ultimo cammino avete vinto in Portogallo. Lei fa pretattica.
«Fu 1-0, una bella impresa. Ma contro l’Italia la vedo più difficile. Abbiamo un paio di infortunati e due squalificati. Rispetto al consueto gruppo siamo ridotti all’osso».
Eppure tanti “italiani” della sua squadra sono in gran spolvero. Chi la sta stupendo di più?
«Tutti stanno facendo bene. Il migliore forse è Berisha, che si è conquistato il posto da titolare con l’Atalanta, e sappiamo che campionato stanno facendo i bergamaschi (gara di ieri esclusa, ndr). Ma è anche la stagione della consacrazione per Hysaj, l’esperienza internazionale è decisiva per la formazione di un calciatore».
Lei non ha un campionato di riferimento. Com’è il lavoro di un selezionatore che ha così tanti giocatori da seguire e da scoprire in quasi tutti i campionati continentali?
«Ormai conosco gli aeroporti a menadito. Nelle ultime settimane sono stato a Lugano, Zagabria, Amburgo, Basilea. E poi in Italia, seguo anche tanti “italiani”. Sono sempre in movimento, poi ci sono le nuove tecnologie che aiutano: con Wyscout seguiamo le partite dei nostri giocatori con focus personalizzati sulle loro prestazioni. Ma ovviamente non basta, visto che bisogna avere un contatto diretto con i giocatori, capire le loro sensazioni, la loro mentalità, il loro stato d’animo. La testa è fondamentale».
Ci sono chance per vedere Azdren Llullaku, trevigiano d’adozione, che ha giocato a Conegliano e Sandonà?
«Anche lui è nei radar, ma il suo problema è che gioca in un campionato di livello modesto (è con i kazaki dell’Astana, ndr). Ed è anche complesso perchè ha appena iniziato la preparazione, quindi è rimasto un po’ fermo. Vediamo se potrà tornarmi utile contro l’Italia».
Ventura vi teme. Ha detto che non vincere potrebbe costare caro agli azzurri.
«Dai, è lui il favorito. Ha Belotti, Immobile, gente di talento. Così giovani e così in rampa di lancio. Poi c’è il blocco Juve dietro che garantisce solidità. Ne manca uno? Ecco Romagnoli o Caldara. Insomma, a Ventura basta pescare nel mazzo».
Chi toglie tra Belotti e Immobile?
«Non scherziamo, li tolgo entrambi. Vabbè che poi Ventura cala Insigne e quindi cambia poco. Belotti fa gol sempre. Sempre. E’ esploso a gennaio dell’anno scorso, e non ha più smesso. Ma ci vuole tempo, bisogna crederci: all’inizio a Palermo faticava, non giocava, ma è stato bravo a reagire alle avversità e lavorare molto sulle proprie qualità».
A proposito di Palermo, ha ricevuto telefonate da qualcuno per tornare ad allenare in Italia nelle ultime settimane?
«Sì, mi ha chiamato Zamparini, ma ho gentilmente declinato. Al momento sto bene con l’Albania, anche perchè sono riuscito a trasmettere un messaggio: non sono qui per i soldi ma per creare una mentalità diversa, perchè io credo veramente di poter vincere. E questo è fondamentale. Altre proposte? Non nego che mi piacerebbe allenare in Spagna o in Inghilterra, o magari guidare un’altra nazionale. Prima, ovvio, c’è questa avventura. Io non ho gente con la qualità dell’Italia, ma ognuno mette in campo le proprie armi. Faremo una bella partita nonostante gli azzurri».
Sguardo al futuro: come vede un mondiale a 48 squadre?
«Allargare il format è senz’altro un’idea positiva. Anzi, buonissima. Così ci sono più chance anche per realtà che solitamente non vengono considerate. E anche le qualificazioni ne trarrebbero vantaggio, visto che le squadre medio-piccole magari lotterebbero ancor più per conquistare punti imprevisti, che potrebbero portarle alla fase finale. C’è più stimolo per tutti. E non dimentichiamo che le sorprese sono il bello del calcio: penso all’Islanda, che agli ultimi Europei in Francia è stata la squadra simpatia, con quel battito di mani dei suoi tifosi diventato quasi un simbolo. C’è il rovescio della medaglia, certo: Danimarca e Olanda hanno sbagliato nei gironi e sono rimaste a casa».
L’Islanda è il bello del calcio. Il Treviso è invece il brutto?
«Un po’ da lontano, ovviamente, ma vedo che va male. Molto male. C’è una situazione che non ha precedenti, ci sono problemi in ogni settore. Pensare poi di fare certe figure in giro…. è un vero peccato. Ma era una situazione che si poteva risolvere prima».
Sa che il Tenni è stato sigillato dall’amministrazione comunale, e che al Treviso l’accesso è negato?
«Ci sono stato a fine estate, per un’amichevole tra il Treviso e la Triestina. E già i segnali non erano incoraggianti, visto che il campo era in condizioni imbarazzanti. Capisco che possano esserci gestioni con un certo tipo di lassismo, ma era una non organizzazione. Lo stadio, calcisticamente parlando, è il biglietto da visita della città. Dà il senso del blasone, della voglia di vincere. Qualcuno si deve mettere una mano sulla coscienza, e c’è da capire se la politica potrà fare qualcosa».
Ci sono delle similitudini alla situazione vissuta da lei al Levante?
«Vicende diverse, lì al massimo si retrocedeva. E hanno avuto la forza di continuare, si è innescata la procedura fallimentare e la società ha sottoscritto un piano di rientro. E rieccoli, tornano nella Liga».
C’è chi piange, ma nella Marca ci sono anche realtà vincenti come De’ Longhi e Imoco.
«Conosco Maurizio Maschio, l’ultima Coppa Italia è stata strepitosa. Non le posso vedere da vicino ma so che l’Imoco sta diventando un modello da seguire. Un po’ come Treviso