«IN ALBANIA SARA’ DURA MA IN RUSSIA L’ITALIA CI VA»
L’EX C.T. ALBANESE, ORA ALL’ALAVES: «IL PLAYOFF NON È UNA TRAGEDIA: SPESSO DOBBIAMO TOCCARE IL FONDO PER DAR FORMA ALLA DISPERAZIONE. LA PANCHINA AZZURRA? MI SONO SENTITO SCIPPATO»
C’ è stato un momento in cui Gianni De Biasi s’è sentito davvero c.t. dell’Italia prima che la scelta ricadesse su Ventura: «Un po’ mi sono sentito scippato, ero in vantaggio. Ma ero occupato con l’Albania e non sono riuscito a liberarmi. È andata diversamente, nessuna invidia». Ventura non è oggi un selezionatore che possa essere invidiato: «Con la Macedonia si poteva e doveva vincere: il calcio riserva queste sorprese. Ma ci qualificheremo, anche se a Scutari sarà dura. Li conosco bene». Li conosce benissimo: De Biasi è stato il più importante c.t. di sempre dell’Albania, quello che ha conquistato la storica qualificazione all’Euro 2016. Poi, in questo ciclo mondiale, qualcosa s’è «rotto» e arrivederci: panchina a un altro italiano, Christian Panucci, e De Biasi tornato in Spagna all’Alaves.
Una favola senza lieto fine?
«Perché mai? Il lieto fine c’è stato, l’Euro era impensabile, solo che il sogno poteva essere prolungato. Ma la Francia sarà ricordata come qualcosa di straordinario. Nei libri di storia io ci sarò. Ho il passaporto diplomatico albanese, la nazionalità, tornerò. Ma ora vivo in Spagna».
L’Albania non è più forte di noi.
«È e resta lontana tecnicamente e per mille altri motivi: storia, qualità dei singoli, esperienza. Ma non mancano grinta, tenacia e voglia di stupire. E con Panucci qualcosa in più: il desiderio dei giocatori di mettersi in mostra con il nuovo tecnico».
Ha aiutato il suo successore?
«Mi ha chiamato, parliamo una volta a settimana. Christian è un bravo ragazzo che sta facendo esperienza, ha cominciato nel modo giusto».
Il punto di forza dell’Albania?
«Determinazione. E organizzazione».
Organizzazione italiana. Cos’ha detto ai giocatori quando s’è presentato la prima volta?
«Se mi seguite, mi date fiducia e vi mettete in discussione, ci saranno soddisfazioni per tutti. Se l’Albania ha raggiunto certi traguardi è perché ho lavorato sul sogno. Dal punto di vista tattico restano un po’ indisciplinati, anche per la voglia di fare che diventa a volte voglia di strafare».
E adesso per lei la Spagna e non l’Italia. Deluso?
«Sono io che ho voluto l’estero. Mi piace la dimensione, un piccolo club in una città di 240mila abitanti, una società seria e organizzatissima, non solo calcistica: la squadra di basket va spesso in final four di Eurolega».
Tocco magico o meno, dopo sei sconfitte di fila è arrivato lei e…
«E abbiamo vinto segnando due gol. Eravamo a zero punti con un solo gol fatto. Speriamo».
Siamo reduci dal «bagno» di Spagna-Italia 3-0. C’è davvero questa differenza?
«Sì. Per qualità, impostazione, ricerca del gioco. Sia con le nazionali sia con i club che dominano da anni le coppe».
E come si colma il gap?
«Lavoro, organizzazione, non pensare d’essere arrivati. E i settori giovanili dove impari a giocare palla a terra, manovrare, dare del tu alla palla».
Noi parliamo troppo di tattica?
«No, ma il sistema deve essere funzionale ai giocatori che hai. Loro vengono prima».
Davvero rischiamo di non qualificarci? Apocalisse, catastrofe, tragedia…
«Andremo al Mondiale al 100 per cento via playoff, se non succede qualcosa di inenarrabile. Come squadra possiamo soltanto crescere e nei momenti cruciali ci compattiamo. Non è questo il caso, ma spesso dobbiamo toccare il fondo per dare forma alla disperazione. E comunque il playoff non è una tragedia».
Come finisce in Albania?
«Possiamo vincere, ma non illudiamoci. Ci sarà da combattere. Vorranno riscattarsi dopo Palermo. Sarà bella l’atmosfera: lì, dopo l’Albania, la prima squadra è l’Italia».
Rimpianto per quello che poteva essere?
«Qualche rimpianto c’è, come negarlo. Per ogni allenatore sarebbe stato il coronamento di un sogno, anche per me. Tutti vogliamo essere c.t.».
Una strada chiusa per sempre?
«Penso che i treni passino in certi momenti, però non so…».
Cosa pensa di Ventura?
«Ha grande esperienza in tutte le categorie, pur mancando un po’ di quella internazionale. È arrivato a un ruolo importante in età matura: per cui saprà gestire tutte le situazioni. E ha tanti giovani interessanti».
Non è che ci siamo un po’ illusi con questa generazione-X?
«Ma i giovani bisogna aspettarli e curarli. Con pazienza. In un momento possono perdere il contatto con la realtà. Il fatto è che da noi si fatica a farli giocare e di questo risente anche la Nazionale. Tranne l’Atalanta».
A volte ci si chiede se il top player sia Gasperini. E se per un allenatore come lui — che ha bisogno quotidiano del campo — sia praticabile la Nazionale.
«Non ci sarebbero problemi per uno come Gian Piero. Tutti i c.t. hanno poco tempo e quindi devono essere bravi a organizzare poche cose e semplici. Fare le cose facili è la cosa più difficile, mi creda».
Fonte: La Gazzetta dello Sport 8 Ottobre 2017
L’INTERVISTA di FABIO LICARI