La rivoluzione d’Albania
L’epopea albanese di Gianni De Biasi, un percorso che ha cambiato per sempre il calcio shqip
Dy mace mundin një ari. Si può partire da questo proverbio albanese per raccontare l’epopea di Gianni De Biasi alla guida della Nazionale delle aquile: due gatti battono un orso. Quando il sarmedese viene chiamato nei Balcani, la sua professione in quel momento è quella di commentatore per Mediaset Premium: brucia ancora la fine del rapporto con l’Udinese, i due mesi di intermezzo tra le due ere di Pasquale Marino per quello che rimane, come ha dichiarato in un’intervista, il suo più grande rimpianto. Ma chi ha calcato campi da calci di più di mezza Italia, da calciatore prima e da allenatore poi (con una parentesi in Spagna sulla panchina del Levante) non può rimanere lontano più di tanto dal pallone, quello vero, quello che odora d’erba e umidità che sale dalla terra zuppa d’acqua dopo una giornata di pioggia. Come in una reazione chimica, serve solo l’elemento che la inneschi per far partire l’effetto a catena: nella storia di De Biasi, chi ha acceso il fiammifero sulla miccia della dinamite è stato Armand Duka, uomo d’affari laureato in Economia all’università di Durazzo.
Dal 2002, Duka ricopre l’incarico di presidente della FShF (la Federcalcio albanese) e a ottobre del 2011, dopo la sconfitta per 3-0 in Francia e il pareggio 1-1 in casa contro la Romania nelle ultime due partite del girone di qualificazione a Euro 2012, decide di esonerare Josip Kuže, tecnico della ex Jugoslavia alla guida della Nazionale albanese dal 2009. Duka imputa a Kuže di non aver fatto abbastanza per portare l’Albania agli Europei. Ma siamo nel 2011, un tempo in cui parlare della Nazionale delle aquile come possibile qualificata a una delle massime competizioni calcistiche non è soltanto utopico. È folle.
Le qualificazioni ai Mondiali brasiliani del 2014 sono il banco di prova del progetto del tecnico italiano, che semina per raccogliere i frutti più in là; ma già dai risultati si intravede che qualcosa sta cambiando, che c’è un’idea che non è la solita che va avanti da sempre nel calcio albanese, ma un disegno che punta più lontano. Nel 2015 ho parlato con Gianni De Biasi, che mi ha raccontato la chiave del suo progetto: «Nella mia esperienza ho constatato che, connaturato nel calciatore albanese, c’è l’accontentarsi di quello che riusciva a raggiungere. I ragazzi non sono abituati a guardare avanti e a porsi obiettivi più importanti: questo è tuttora l’aspetto più importante su cui cerchiamo di lavorare costantemente. Quello che cerco di inculcare ai miei ragazzi è l’idea di non adagiarsi sui successi e di avere sempre fame di crescere, di provare a migliorare il proprio percorso formativo». Per raggiungere le alte mete, quindi, De Biasi parte dall’obiettivo più ambizioso, stravolgendo l’ordine canonico del lavoro, secondo cui si dovrebbe iniziare dagli obiettivi più a portata di mano per arrivare, pian piano, a quelli più elevati: «Ho portato nel calcio albanese una nuova cultura, partendo dalla voglia di motivare i miei giocatori a cercare di vincere una sfida che magari loro non si erano neanche posti nella loro testa».
Settembre 2012: vittoria contro Cipro nella prima partita di qualificazione ai Mondiale; ottobre 2012: vittoria contro la Slovenia in casa; marzo 2013, l’Albania trionfa a Oslo 1-0 contro la Norvegia. Undici punti in dieci partite e quinto posto finale nel girone: dita me diell duket që në mëngjes, equivalente del nostro il buongiorno si vede dal mattino.
Se fissiamo un fotogramma di quel momento, fine 2013, troviamo un’Albania posizionata al 57mo posto nel ranking Fifa: quando De Biasi ne aveva assunto il controllo a dicembre 2011 era 17 posizioni più in basso.
Da questo istante inizia la scalata verso la vetta dell’Albania di De Biasi, il sogno dell’underdog che diventa realtà del calcio mondiale e va a sfidare le grandi sui tavoli che contano. E non da spettatore, o da ospite, ma da avversaria consapevole di potersela giocare contro tutti. «Dopo il sorteggio di Nizza che ci portava a Euro 2016 eravamo tutti distrutti! Il presidente federale era sconvolto, vedendo il girone che ci era toccato!», mi ha confidato De Biasi nell’intervista già citata: le urne riservano all’Albania avversari come Danimarca, Armenia, Serbia e Portogallo. L’esordio è ad Aveiro proprio contro la corazzata portoghese, seppur priva di Cristiano Ronaldo: se a Bekim Balaj, ore prima, avessero predetto che avrebbe segnato il suo primo gol in Nazionale con una sforbiciata al volo in Portogallo e che, grazie a quel gol, l’Albania avrebbe vinto, probabilmente si sarebbe messo a ridere. L’Albania pareggia poi 1-1 con la Danimarca e vince a tavolino per 3-0 in Serbia, chiudendo l’anno 2014 da imbattuta in gare ufficiale e togliendosi anche la soddisfazione di pareggiare 1-1 l’amichevole disputata in Francia contro i transalpini.
Ed è il lascito che l’allenatore italiano dona al Paese del quale ha ottenuto la cittadinanza onoraria nel momento in cui decide di abbandonare volontariamente l’incarico di commissario tecnico della Nazionale: «Mi fermo qui, perché voglio pensare al bene e alla crescita della squadra. Credo di aver esaurito il mio compito, che mi ha consentito di tirare fuori da questi ragazzi quelle qualità che nel recente passato ci hanno consentito di vivere il Sogno Europeo», scrive nella sua lettera di addio. E utilizzando proprio la lettera maiuscola per marchiare la parola Sogno.
Pubblicato in data 29 giugno 2017
Di Emanuele Giulianelli