De Biasi ha sterzato il Toro
Il risultato, per una volta, lo si può tralasciare qualche attimo.
Dopo la gara con l’Empoli e ancor più in seguito alla sfida contro il Genoa, la preoccupazione dilagante era che il Torino si fosse definitivamente smarrito, perso nei meandri della depressione, vittima di avversità immaginarie stagliate nella mente dei suoi calciatori tanto da ipnotizzarli fino a costringerli ad un rendimento scabroso.
Ci voleva, e più volte da questo sito lo abbiamo auspicato, la sterzata perentoria, il colpo di coda finale che rimettesse ventisette giocatori sulla carreggiata giusta. Era fondamentale debellare il male oscuro della squadra o quanto meno appannarlo, limitarlo, dimenticarlo fino al termine della stagione.
Ancora oggi non sappiamo quale, chi o cosa fosse il tumore che ha avvizzito il Torino in tutto questo travagliato campionato. Le correnti di pensiero, in questo senso, imperversano.
Certamente a pagare per tutti è stato l’allenatore e gli effetti benefici, sin dai primissimi istanti successivi il suo “taglio”, si sono percepiti.
Non soltanto per gli attori sulla scena del campo. Ma per tutta la serie di persone che lavora alacremente nel mondo Sisport, dal lunedì alla domenica, ininterrottamente. La serenità serpeggiante nell’aria piovosa di questi giorni è stata la prima e formidabile boccata d’ossigeno per ciascun lavoratore, dall’addetto alla sicurezza al magazziniere fino, è ovvio, a Rosina e compagni.
La folta e fitta coltre di nuvole annidate sulle teste di ognuno si è, come per magia, dissolta in un attimo. L’attimo dell’uscita definitiva del padre-padrone Monzon, tanto irascibile e scorbutico quanto difficile da scusare e comprendere anche dal più umile dei mestieranti, il giardiniere, che poi, diciamolo, tanto umile la sua occupazione non è, specie in questo ambiente.
Ieri è mancata la vittoria, si dirà. Concetto verissimo ed inconfutabile. Ma si è vista per la prima volta e dopo molto tempo una squadra da Toro. Sfigata, scorbutica, spuntata e scarsa in alcuni suoi elementi ma compatta, coesa ed unita. Un Toro, dunque, con i suoi pregi e difetti ma sempre a testa alta, uscito dal campo con l’onore e la dignità dei forti.
Parlare soltanto di una ritrovata forza morale, tuttavia, non rende pienamente giustizia al club cairota. Si è ammirato finalmente un gioco palla a terra, costituito da fitti passaggi a centrocampo dove Corini ha preso in mano le redini del gioco come un direttore d’orchestra attempato, certo, ma pur sempre professionale. Si è preferito appoggiare la palla indietro piuttosto che scaraventarla alla cieca in avanti, sperando che qualcuno, da lassù, concedesse il miracolo del pasticcio difensivo altrui.
Abbiamo ammirato un Toro lento ed ingolfato ma pure logico e razionale di fronte ad una multinazionale di talenti, corazzata di muscoli, lingue e colori diversi, uniti da un solo obiettivo: vincere lo scudetto.
E abbiamo riabbracciato il Rosina perduto, talento in naftalina riemerso nel suo candore, genio e sregolatezza, monellaccio e angelico all’interno dei medesimi novanta minuti. Un Rosina ispirato, capace di dribblare un paio di volte Cambiasso e Zanetti ma anche di non tirare a tu per tu con Julio Cesar al novantesimo. Un Rosina, però, nuovamente fondamentale per le sorti di questa squadra, elemento imprescindibile per De Biasi proprio come lo era negli anni passati.
Il Toro. Questo nuovo Toro, ricomincia da lui con serenità, grinta e volitività. L’effetto De Biasi ha partorito i primi “risultati”.
Fonte: Nesti Channel