Intervista a tutto tondo con Gianni De Biasi
quotidiano “Prima Pagina” ha intervistato l’ex mister di Carpi e Modena e l’attuale coach dell’Albania, Gianni De Biasi.
Un vecchio detto dice che non si smette di pedalare quando si invecchia, si invecchia quando si smette di pedalare. Lei ha ricevuto la proposta di diventare CT dell’Albania mentre era in sella alla sua bicicletta da corsa a Vittorio Veneto, in un periodo in cui stava forse meditando di chiudere la sua esperienza da allenatore. Si può dire che, con la scalata fatta con l’Albania, lei abbia ritrovato la sua giovinezza?
«Francamente, non ho mai pensato di voler smettere, ma ero molto deluso dall’epilogo di Udine. Per questo, ero alla ricerca di una realtà diversa dall’Italia, in quanto, dopo l’esperienza in Spagna alla guida del Levante, ho visto che all’estero gli allenatori italiani sono considerati in maniera diversa. Qui ho avuto questa possibilità e, dunque, ho deciso di accettare, ritrovando entusiasmo».
Lei non è nuovo a grandi imprese (oltre alla Longobarda, si ricordino la salvezza ottenuta alla guida del Brescia di Baggio, nell’ultima stagione di attività del Divin Codino, la promozione in A nel 2005-06 con annessa permanenza nella massima serie nell’anno successivo col Torino, bissata alla guida dei granata nel 2007-08), per compierle basta la disponibilità di calarsi nella realtà in cui ci si trova?
«Ovviamente, questo aspetto è imprescindibile ma non basta. Serve anche programmare in modo accurato ogni dettaglio e trovare giocatori che facciano al caso proprio. Quando siamo arrivati quattro anni fa, il nostro problema principale è stato fare scouting in modo diverso rispetto a come si faceva in passato».
Insieme a Paolo Tramezzani e ai suoi collaboratori ha svolto un lavoro capillare, andando a sondare la disponibilità dei calciatori a vestire la maglia albanese. C’è una storia particolare legata ad uno dei suoi ragazzi che vorrebbe raccontare?
«Di storie ce ne sono tante, le più disparate possibili, dato che abbiamo pescato giocatori in diversi Paesi come Azerbaigian, Turchia, Germania e Svizzera solo per citarne alcuni. In generale, quando andiamo alla ricerca di un elemento, prima svolgiamo un’analisi dal punto di vista tecnico, poi andiamo vis-à-vis a verificare la disponibilità del ragazzo a giocare per questa maglia».
L’attaccamento alla Patria nella “Terra delle Aquile” è qualcosa di viscerale e gli albanesi sono molto riconoscenti verso chi come lei ha dato tanto per il loro Paese, come dimostra il premio di cittadino onorario albanese per meriti sportivi portati alla Nazione consegnatole dal Presidente dell’Albania Bujar Nishani nel marzo 2015. Pensa che gli italiani debbano imparare da questo?
«Non mi permetto di giudicare questo aspetto. Posso solo dire che qui ho trovato l’ambiente ideale per lavorare, in quanto mi hanno dato carta bianca e non ho avuto alcun tipo di problema gestionale, fattori che mi hanno permesso di costruire una squadra a mia immagine, basata sui valori in cui credo, primo su tutti la collaborazione».
Dopo l’accoglimento del ricorso presentato al Tribunale di arbitrato dello Sport di Losanna, che assegna alla sua squadra la vittoria a tavolino per 3-0 nella gara del 14 ottobre 2014 di Belgrado (quella del drone che ha causato scontri in campo e successiva sospensione della partita), e il pareggio di Copenaghen, vi trovate di fronte a due match ball casalinghi con Portogallo e Serbia, per poter chiudere il discorso qualificazione prima dell’ultima giornata. Ne sono uscite due sconfitte che avrebbero potuto compromettere il vostro cammino. Pensa che abbiano pesato nella testa dei ragazzi la responsabilità e la tensione nel raggiungere un risultato storico?
«Fino alle gare con Portogallo e Serbia eravamo l’unica formazione imbattuta del girone. Per superare quel periodo di impasse, abbiamo fatto leva sulle nostre risorse, in quanto, dopo tutto quello che avevamo costruito, non potevamo perdere il secondo posto a causa di queste due battute d’arresto. Nell’ultima gara in Armenia, avevamo talmente tanta carica in testa che avevamo già vinto ancor prima di iniziare».
Passando alle squadre di casa nostra, lei ha allenato sia il Modena che il Carpi, entrambe retrocesse in questa annata: cosa pensa sia mancato a queste compagini?
«Diciamo subito che sono due realtà diverse. Il Carpi è una società ben programmata, retrocessa a testa alta, a cui è mancato un pizzico di fortuna, mentre il Modena è andato in Lega Pro in una stagione in cui si è pensato che non potesse mai accadere».
Che sensazione le dà vedere i gialli nella stessa categoria in cui era partito lei alla guida del club di Viale Monte Kosica?
«Sicuramente mi dispiace molto. Penso che il Modena debba ripartire da un progetto diverso, anche se non so da quali persone, non seguendo da vicino questa realtà. Ritengo che quella gialloblù sia una piazza importante nella serie cadetta e che, con una pianificazione oculata, possa fare diversi campionati di medio alto livello per poi ambire alla promozione in A, in cui magari fare un ciclo biennale».
L’altra squadra della provincia, il Sassuolo, ha raggiunto l’accesso ai preliminari di Europa League grazie alla forza del progetto, una parola spesso abusata in Italia…
«La società neroverde ha compiuto un’impresa straordinaria, grazie ad una proprietà con le idee chiare, in particolare per merito di un patron ambizioso che sa stimolare i suoi giocatori, dicendo cose nelle quali crede, e che ha saputo trovare le persone giuste per realizzare il proprio progetto, aspetto fondamentale, compreso mister Di Francesco, che ha dimostrato di essere un allenatore che lavora bene, con intelligenza e che ha avuto la capacità di dare un bel gioco».
Ci faccia due nomi di talenti che ha in rosa che consiglierebbe alle formazioni italiane.
«Faccio fatica a dire solo due nomi, perché farei un torto a chi non cito. Diciamo che abbiamo qualche elemento interessante: speriamo possa mettersi in mostra agli Europei, significa che avremo fatto bene. Poi se li dovessero comprare i club italiani tanto meglio, avrò la possibilità di seguirli più da vicino».
Il destino ha voluto che l’Albania incontrasse la Francia, Paese ospitante, già affrontato in amichevole, con un pareggio in terra transalpina (nel novembre 2014) e la storica vittoria all’Elbasan Arena del 13 giugno 2015. Trovarseli di fronte un anno e due giorni dopo è un vantaggio o teme di non poter più contare sull’effetto sorpresa?
«Sicuramente è uno svantaggio, perché le squadre come la nostra puntano sull’effetto sorpresa. Avendo recentemente pareggiato e vinto contro di loro, penso che la Francia sarà molto più sveglia nella gara del 15 giugno».
A proposito di amichevoli, è rimasta impressa nella mente di molti l’immagine della gara di Genova con l’Italia del 18 novembre 2014, in cui 15mila albanesi hanno applaudito l’inno italiano e hanno mostrato la loro vicinanza alle località colpite dall’alluvione, in un’aria di festa, in cui è prevalso lo spettacolo sul campo e soprattutto sugli spalti, che ha ribaltato completamente quanto visto con la Serbia nello stesso stadio due anni prima. Un’emozione doppia per lei, in quanto vissuta da ct dell’Albania e da italiano…
«Penso sia stato fantastico vedere gli albanesi cantare l’inno italiano. Ovviamente, gli albanesi tifano per la squadra della propria Nazione, ma diciamo che, se l’Italia dovesse vincere gli Europei, non ne sarebbero affatto dispiaciuti».
Le altre due sfidanti del girone saranno la Romania (nella storica gara d’esordio di Cana e compagni all’Europeo), Paese storicamente molto vicino all’Albania nel flusso migratorio verso l’Europa Occidentale, e la Svizzera, che ha diversi giocatori di origine kosovara-albanese, come Shaqiri, Behrami e il fratello di Taulant Xhaka, Granit. Sicuramente si preannunciano sfide calde dal punto di vista caratteriale…
«Partiamo dal fatto che stiamo parlando di due scuole calcistiche diverse, in quanto l’approccio della Svizzera è più razionale, partendo da una base di talenti albanesi e non solo che loro arricchiscono con la loro disciplina. Sicuramente, questa gara, non solo per la partita nella partita tra i due fratelli Xhaka, avrà un sapore particolare».
Dopo la favola Leicester, in un torneo con sei debuttanti, ovvero Albania, Austria (per la prima volta qualificatasi sul campo), Galles, Irlanda del Nord, Islanda e Slovacchia, pensa che possa essere l’Europeo delle sorprese?
«Credo di no, penso che vincerà una delle quattro – cinque formazioni con più qualità che saprà meglio sfruttare questa caratteristica».
Si può dire che l’Albania sia fonte di ispirazione per chi nella vita cerca un’occasione di riscatto, quella che hanno trovato molti albanesi nella qualificazione della propria Nazionale agli Europei…
«Diciamo di sì, senza dimenticare il fatto che “stiamo portando indietro i gommoni”, in quanto molti italiani stanno trovando occasioni per lavorare in Albania, che io chiamo la “Cina vicina”, per via della serietà degli albanesi nello svolgere il proprio lavoro».
Ora che l’Aquila ha spiegato le ali, vuole volare sempre più in alto…
«Non diciamo nulla, sicuramente non abbiamo l’obbligo di vincere come altre squadre, ma, allo stesso tempo, di certo non andremo in Francia a fare i turisti…».
Tratto da Prima Pagina – Parlando di Sport