«Toro, sono il tuo vangelo»

«De Biasi: Si ragiona con una sola testa, la mia. Chi non ci sta sarà tagliato fuori»
«Ho rifiutato sei squadre, covavo la speranza di tornare. Però, se non fossi più che sicuro della salvezza, non avrei accettato»

Quando l’avvocato Gianni Trom­betta, fedelissimo e ascoltatissimo consigliere del presidente Urbano Cairo, l’ha contattato domenica pomeriggio per valutarne la volontà di tornare al Toro, Gianni De Biasi era all’ae­roporto di Cagliari, in procinto di far ritorno a casa dopo aver commentato per Mediaset Pre­mium la partita Cagliari- Lazio. Al telefono il tecnico ha subito dato una disponibilità di massima, pensando ad un appuntamento per l’indomani mattina. Ma Trombetta ha suona­to la carica dei bersaglieri: non c’era tempo da perdere, bisognava correre e incontrare quan­to prima Cairo. Anche perché il presidente, quando intraprende un’impresa, mica cinci­schia: vola. A quel punto De Biasi ha mutato il proprio programma di rientro: anziché punta­re su Venezia, la destinazione è diventata To­rino. Senonché a Fiumicino ha perso la coinci­denza per Caselle: e con l’aereo, pure le valigie. Nuova variazione di programma e ennesimo cambio di destinazione: Milano. Ad attenderlo, all’uscita dallo scalo, avrebbe trovato un auti­sta del Numero Uno granata per accompa­gnarlo nel buen retiro di Abbazia di Masio, a pochi chilometri da Alessandria, nella resi­denza di campagna della famiglia Cairo. Im­mediato colloquio con il Grande Capo, e alle 3 di notte tappa ad Asti, quartier generale del­l’avvocato Trombetta, dove De Biasi ha ripo­sato gli occhi in albergo sino alle 6.30: dormi­re è un’altra cosa. Poco dopo l’alba nuovi collo­qui con Cairo, poi il trasferimento a Torino. Dapprima in sede, con il segretario generale Massimo Ienca, per il primo informale incon­tro con Roberto Muzzi, in rappresentanza del­lo spogliatoio granata. Poi, dopo un frugale pranzo, il bagno di folla al centro Sisport: l’ab­braccio dei tifosi, quello metaforico con la squa­dra e quello invece reale con il suo ricomposto staff: il vice allenatore Igor Charalambopou-l­os, il preperatore dei portieri Vinicio Bisioli, il preparatore atletico Paolo Artico ( che nel frattempo aveva raccolto dalla signora Paola De Biasi due valigie con gli effetti personali e alcuni abiti del mister) e l’altro preparatore Francesco Siepi.

Di fronte alla schiera mediatica mai tanto rappresentata, quest’anno, per il Torino, De Biasi è parso tanto motivato quanto tirato: stanco, più che emozionato. Ha subito smenti­to lo sciagurato che in mattina aveva provato ad annacquare il rigenerato entusiasmo tifoso annunciando sul sito internet della società che l’allenamento pomeridiano sarebbe stato a porte chiuse. Ma quando mai: lui ha raccolto ovazioni e unanime consenso, ma la squadra ha anche potuto contare – a parte qualche ir­recuperabile eccezione – su un sostegno co­munque incoraggiante, se rapportato al trend di sei sconfitte consecutive. De Biasi ha subito mostrato i muscoli, presentandosi: « I giocatori devono ragionare con una sola testa, che è quella dell’allenatore. E le sue parole devono essere il loro vangelo, l’unico dogma inconfu­tabile. Chi sta con me, ok. Chi non lo farà, fa­talmente, si perderà per strada » . Gli è bastato vincere, con Cairo, non ha voluto stravincere. Ha persino trovato il modo di scherzare ri­spondendo a una salace però pertinente do­manda su Oguro: ricordate il casus belli a pro­posito dell’allora sconosciuto giocatore giappo­nese? Ebbene, con sorriso languido e maliardo De Biasi ha osservato che « Oguro s’è pronta­mente inserito nel nostro calcio, parla e com­prende già bene la lingua italiana. L’occasione m’è propizia per ribadire una cosa: quando ri­sposi a precisa domanda, in estate, dissi che non lo conoscevo perché non seguivo il cam­pionato di serie B francese. Oggi in virtù di quell’esperienza sono evoluto: difatti nei miei vari giri per l’Europa, per assistere a partite di calcio, non mi sono assolutamente perso Stra­sburgo- Ajaccio… » . Sul Toro ha detto molto con poco. In sintesi: « Ho rinunciato a sei squadre, covavo la speranza di tornare. In estate cercai di coprire la squadra dalle eccessive aspettati­ve della piazza: non eravamo e non siamo at­trezzati per la Champions o la zona Uefa, però il potenziale è superiore all’attuale posizione. Se non fossi più che sicuro della salvezza non avrei accettato di tornare su questa panchina. Queste sfide mi esaltano: c’è una componente di rischio, però conosco ambiente e giocatori: stando tutti assieme uniti ce la possiamo fare. La contingenza è questa: la nave sta imbar­cando acqua, si tratta di riequilibrare la si­tuazione.
No, non mi anima alcuna rivincita personale, però bisogna riprendere con l’entu­siasmo che ci animava subito dopo la promo­zione. Cosa mi ha insegnato l’esonero? C’è sem­pre qualcosa da imparare, nella vita: spero d’a­ver fatto tesoro di quest’esperienza. La tattica? E’ presto per parlarne, prima fatemi confron­tare con i giocatori. Ho alcune idee, ma voglio condividerle con la squadra, in questa fase. Dobbiamo stare uniti, sono certo che la nostra gente ci darà una grande mano. Mi ha fatto male vedere i tifosi del Cagliari contestare apertamente i loro beniamini, domenica. Non se ne esce così da situazioni tanto complesse. Ci restano 14 partite, c’è il tempo per rimette­re le cose a posto, ma bisogna cominciare su­bito: dovremo essere un esempio di concretez­za »

A cura di
Pietro Venera

Fonte: TuttoSport