MIRACOLO DE BIASI
Squadra trasformata, vince in trasferta dopo 4 sconfitte
Città che è degna di ogni stima, diceva Roberto Vecchioni infilando Messina in una sua canzone. Non avrebbe potuto dirlo della squadra di calcio che ieri si è dissolta contro il Torino al punto da renderci prudenti nel glorificare la prestazione dei granata, persino troppo efficace, bella, ridente e sicura, qualcosa come in questa annata non si era mai visto: ma dal momento che si viaggia di impressione in impressione a ogni settimana, il 3-0 permette di pensare che i guai siano alle spalle e che la svolta impressa da De Biasi, con tre vittorie su quattro partite, abbia davvero chiuso la crisi zaccheroniana.
In un mese il balzo in classifica è stato importante. La linea della retrocessione si è spostata a 7 punti e il Toro ha agguantato le squadre di metà convoglio, pure quelle come l’Atalanta e il Catania per le quali si era gridato al miracolo. Insomma Cairo può guardare avanti, come l’ha invitato a fare il suo tecnico: i rischi sbiadiscono, le certezze di restare in A si rimpolpano perché nelle ultime settimane si è visto come questa squadra sia ancora inadeguata quando affronta avversarie più forti (la sconfitta vergognosa di Firenze) però abbia ripreso a battere quante stanno alla sua altezza o anche meno, ed è la strada giusta per chiudere la stagione in una posizione tranquilla, di lancio per la prossima. La differenza con il Messina è stata molto evidente. Franza contesta il rigore del 2-0, al 32’ della ripresa. Sbaglia perché l’azione fallosa comincia fuori area quando Masiello abbranca Rosina, ma il granata resta in piedi e corre finche non è in area e a quel punto cade sull’ultimo contatto. Sarà pure una furbata, ma Bertini per una volta ha giudicato bene. Così come era regolare la posizione di Muzzi sul primo gol. Quello che si è visto nello spareggio per la salvezza, al di là degli episodi, è che il Toro ha giocato con più sicurezza e De Biasi ha schiantato il ginnasiarca Cavasin nell’organizzazione del gioco: dopo un avvio brillantino dei siciliani (pallonetto di Riganò fuori all’11) la differenza si è creata a centrocampo. Da una parte D’Aversa e la replica avvizzita di Vincent Candela che ancora non si rassegna al logorio della carriera, ma lì in mezzo ne combina poche. Dall’altra il Toro che ha goduto di tutto lo spazio possibile per portare avanti la palla con cinque o sei uomini, passaggi facili, triangolazioni brevi. Più sostanza, più creatività, più soluzioni. Quando i granata hanno smesso di sbagliare la misura dei tocchi semplici e hanno preso sicurezza, il match si è catapultato dalle parti di Paoletti e con più efficacia nei tiri e negli ultimi passaggi l’avrebbero chiuso prima. Abbiati si è visto al 25’ su un tiraccio a scendere di Di Napoli che l’ha costretto a indietreggiare fino alla linea di porta per la deviazione, altrimenti il suo lavoro si è ridotto ad acchiappare i cross alti. Il Messina invece ha rischiato più volte il collasso dopo l’1-0 nato dall’iniziativa di Abbruscato e dal tocco di testa di Rosina per Muzzi. Le due traverse (diciassettesimo e diciottesimo legno dei granata in campionato) colpite da Rosina in meno di trenta secondi e le altre pallacce sprecate con precipitazione testimoniano da quale parte pendeva il gioco.
Nella ripresa Cavasin, che non aveva mai perso con De Biasi, ha tentato di incrementare l’offensiva con Iliev. Fuoco fatuo, dieci minuti di bim-bum-bam sulla destra del Toro, poi il serbo deve essersi ricordato che la stagione della neve è finita ieri e così ha abbandonato gli slalom. L’iniziativa di Barone, finalmente brillante dietro Abbruscato, la verve delle punte, la tenuta del centrocampo sono le chiavi che hanno incrementato il vantaggio: prima il rigore, poi il colpo di testa di Stellone, appena entrato, sul calcio d’angolo di Gallo. Se la sosta non soffocherà la rinascita e se Rosina non si lascerà incantare dal clima del nuovo Wembley, dove giocherà con l’Under 21, teatro che può stordire i teatranti e far perdere la misura, questo 3-0 sarà stato la svolta per il Toro. E, temiamo, la condanna di un Messina fragilissimo persino in Riganò.
A cura di Marco Ansaldo
Fonte: La Stampa